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L’ingegner Dolcetta scippato dal Duce

Quando, nel 1917, arriva in Sardegna su incarico della Banca Commerciale Italiana, l’ingegner Giulio Dolcetta ha alle spalle una competenza tecnica e manageriale che fa di lui l’uomo adatto a curare gli ambiziosi progetti dell’Istituto di credito. Laureato a Torino, non ha ancora quarant’anni e ha già diretto la Società elettrica di La Spezia. La Comit, che già da prima della Grande Guerra, tra il 1912 e il 1913, aveva cominciato a interessarsi all’Isola dando vita alla Società elettrica Sarda e alla Società per le imprese idrauliche ed elettriche del Tirso, gliene affida la direzione.

Se si tiene presente che il “gruppo Tirso” aveva, tra l’altro, il controllo delle Ferrovie complementari sarde, si comprende come Dolcetta si sia trovato subito al centro di una amplissima rete di interessi che, muovendo dal settore idroelettrico, si diramava verso le costruzioni, i trasporti, l’agricoltura. Nel giro di pochi anni, l’ingegnere torinese strutturò questa rete facendo nascere una serie di collegate tra cui la Società bonifiche sarde (Sbs), la Fabbrica cementi Portland (con l’importante stabilimento cementifero di Santa Gilla) e la Società sarda costruzioni. In una regione in cui l’industria si identificava con la monocultura mineraria, l’avvio di un progetto industriale organico e allo stesso tempo così diversificato fu autentico “nuovo inizio”.

Il fatto è che Dolcetta stesso è un manager nuovo per l’epoca e ancor più per la Sardegna. Alla capacità di trattare con i politici – qualità assolutamente indispensabile in un settore come quello delle grandi opere pubbliche – unisce una speciale “sensibilità ambientale”. Proconsole di un potere finanziario del tutto esterno all’Isola, è perfettamente conscio dei pericoli che questa condizione porta con sé. Così fa di tutto per coinvolgere nei suoi progetti la parte più dinamica e ricettiva dell’imprenditoria locale e subito rafforza il rapporto con alcune figure-chiave dell’ambiente finanziario cagliaritano – Gracco Tronci, i fratelli Dionigi e Stanislao Scano – che già nell’anteguerra aveva fatto da battistrada all’ingresso della Banca Commerciale nell’Isola.

La visione organica dell’impresa che l’ha portato a creare le società collegate, è coerente con la sua idea dell’oggetto sociale del “gruppo Tirso”. Dolcetta, infatti, ritiene che la creazione di invasi artificiali, di centrali elettriche, l’esecuzione di opere di bonifica idraulica e agraria debbono essere attività tra loro strettamente collegate, sia dal punto di vista tecnico, sia imprenditoriale. L’Italia, intanto, è diventata fascista e, nel 1928, viene inaugurato il Villaggio Mussolini (che due anni dopo si chiamerà Mussolinia di Sardegna e più tardi Arborea). Proprietaria del villaggio, e di un’azienda agraria che ospita 240 famiglie coloniche, è la Società bonifiche sarde. Forte anche del fatto che l’impresa è stata resa possibile da abbondanti finanziamenti pubblici, il regime batte la grancassa propagandistica facendo di Mussolinia un caso esemplare della capacità realizzatrici del fascismo.

Ma chi ha concepito il tutto e gli ha dato la sua impronta è stato Giulio Dolcetta. Il quale, decide di risiedervi. E si trasferisce nella lussuosa sede che la Sbs ha edificato nel villaggio dedicato al Duce. Da lì sovrintende al felice sviluppo della sua creatura. Tanto felice da fargli concepire l’idea che l’esperienza possa essere ripetuta in altre zone della Sardegna. Naturalmente ancora grazie ai finanziamenti pubblici. Ma questa volta si sbaglia. La capacità di trattare con i politici non basta più a placarne gli appetiti. Quei finanziamenti fanno gola a molti e il regime, bisognoso di consenso, non può affidarli a quel continentale nuovo ma anche solo che rappresenta un’azienda ormai in crisi. La Comit, nel 1934, diventerà proprietà dell’Iri. L’anno prima Dolcetta, dopo tre lustri, ha malinconicamente lasciato la Sardegna. Che farà presto a dimenticarlo.

Luciano Marrocu