La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Un sardo matto dalla barba dura

La Sardegna per me, per degli anni, è stata un adesivo. Un adesivo con una scritta blu su fondo giallo che a un certo punto avevo cominciato a vedere sul retro delle macchine e che voleva dire, nella mia testa, che quella macchina lì era stata in vacanza in Sardegna. Che delle volte, invece, a guardarci bene, poi mi accorgevo che era stata in Corsica. E pensavo, per degli anni, nella mia testa, che quella macchina lì era dei ricchi. La Sardegna, per me, per degli anni, è stato il posto dei ricchi. Che io, con i miei genitori, al mare, andavamo a Bellaria e Igea Marina. Prendevamo in affitto una casa al confine tra Bellaria e Igea Marina; non era la Sardegna, e neanche la Corsica.

Dopo poi, mi sono iscritto all’università, la Sardegna per me è diventato un ragazzo che aveva una barba dura, da sardo, e veniva a lavorare dove studiavo io, traduceva e scriveva, e parlavamo tutti i giorni, lui diceva che somigliavo a Lenin, forse per via del fatto che avevo il pizzetto e studiavo russo, lui traduceva dal francese e scriveva di “Bakunìn”, con l’accento sulla i, come lo pronunciavano in Francia e in Sardegna.

Poi ho cominciato a scrivere anch’io e la prima volta che ci sono andato, in Sardegna, ci sono andato per presentare un libro in cinque librerie, ad Alghero, Sassari, Nuoro, Oristano e Cagliari. Era il 2003, e mi ricorderò sempre tre cose, di quel viaggio: le coste della Sardegna la prima volta che le ho viste, dall’aereo, che mi erano sembrate simili alle coste della Scozia (non ero mai stato, in Scozia); il libraio di Alghero che mi era venuto a prendere a Olbia e che mi aveva chiesto, nel viaggio in macchina, cosa pensavo di Lucarelli, poi cosa pensavo di Carlotto, poi cosa pensavo di Machiavelli, poi cosa pensavo di Scerbanenco, poi cosa pensavo di Carofiglio, poi cosa pensavo di Camilleri e poi alla fine, quand’eravamo arrivati in libreria, mi aveva presentato come un giallista bolognese, io che abitavo a Bologna, ma non ero di Bologna, e che di gialli non ne scrivevo; era comprensibile, l’errore di quel libraio, perché quello era un periodo che, se c’era uno scrittore, era un giallista, e se c’era un giallista, era bolognese; a Sassari, un professore che a cena aveva parlato di Dickens e che aveva detto che Dickens è crudele, che se ti vuol far ridere, ti fa ridere, e se ti vuol far piangere, ti fa piangere; e ad Oristano, i librai che mi avevano ospitato, mi avevano fatto un dolce con il miele che sembrava un disco volante, com’era fatto, ed era buonissimo.

Ecco. Da quella volta lì, sono andato tante volte, poi, in Sardegna, e continuo ad andarci, e una cosa che mi piace dei sardi, del loro carattere, è che sono quasi permalosi come me, e allora ho l’impressione che mi capiscano, forse, e un po’ di capirli, anche, forse. E l’ultima volta che ci son stato, in Sardegna, ci son stato per curare una cosa che si chiama Repertorio dei matti della città di Cagliari, e tra i matti gli scrittori sardi che hanno scritto il Repertorio ce n’è uno che dice così: «Uno se ne era andato in continente, e partendo, dalla nave che lasciava Cagliari, si era detto: “Fuggi. Dopo trentaquattro anni ti strappi alla terra dove hai amato, sofferto e fatto il buffone. Ogni angolo di strada testimonia una tua gioia, un dolore, una paura. In cambio sarai libero. La maschera che mi cuciranno addosso, lo straniero, l’isolano, il mendicante, mi nasconderà, occulterà il nome, sarò uomo fra uomini”».

Se ne era andato in continente a tradurre libri, a scrivere libri. Scriveva di antiche leggende sarde, di giudici banditi, di minatori e cani e addii. Era diventato un traduttore e uno scrittore, uno scrittore sardo dicevano in continente, e una volta era venuto in Sardegna ed era morto. Ma era morto in mare, mica scrivendo. Era morto in mare ma in un vecchio sogno arrivava in riva, guardava il mare, si chiedeva: «Lo attraverso?” e rispondeva: “No. È troppo largo». Quel ragazzo con la barba dura, da sardo, che diceva che somigliavo a Lenin.

Paolo Nori

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