I primi di febbraio, a Bologna, un mattino che pioveva ma non fortissimo, un mattino presto, alle sei del mattino, dovevo andare in stazione che avevo un treno per Pavia, dovevo andare al collegio Borromeo di Pavia a parlare di traduzione a degli studenti e, intanto che andavo in stazione in bicicletta, quel mattino alle sei, io ormai sono una decina d’anni che traduco dei romanzi dal russo, perché ho studiato russo, quand’ero giovane, e quel mattino alle sei, a Bologna, ho pensato che io, che prima di mettermi a studiare russo ho lavorato per un anno e mezzo in Algeria, sulle montagne del piccolo Atlante, e per un anno e un po’ a Baghdad, in mezzo alla guerra Iran – Iraq, mi è venuto da pensare che, per me, studiare russo è stata un’avventura più grande delle montagne del piccolo Atlante e della guerra Iran – Iraq, è stata una cosa che ha cambiato il mio modo di camminare, di pensare, di muovermi, di dormire, di leggere, di parlare, di mangiare, di immaginare, di stare fermo, di ridere, di piangere, di sospirare, di disperarmi, di chiedere scusa, di arrabbiarmi, di concentrarmi e di portare pazienza e è una cosa che, se non l’avessi fatta, nella mia vita, chissà dove sarei andato a finire.
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