La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

L’allegra gabbia di Amazon

referisce entrare o uscire col buio, i turni “estremi”. Quello del mattino che comincia alle 6 o alle 7 e finisce alle 15, o il notturno che comincia alle 16 e si conclude a mezzanotte: «Perché ho il resto della giornata tutta per me», spiega. Peccato che non si possa scegliere: si può proporre un cambio, ma non è detto sia concesso. Decisioni, comunque, non calate dall’alto, ma “spiegate”. E accettate. È molto soddisfatto del suo lavoro questo quarantenne sempre precario dal curriculum chilometrico che, alla fine, è approdato ad Amazon. E che ci racconta la sua vita dietro la garanzia dell’anonimato. Non perché abbia da dire qualcosa di male dell’azienda, anzi. È anche questa una delle regole accettate: se vuoi dire qualcosa, qualunque cosa sia, devi chiedere il permesso. Che di solito viene negato.
Ecco quindi la giornata-tipo di Bristow, che chiamiamo così, benché sia sardissimo, in onore dell’impiegato-sognatore della Chester Perry Co.Ldt, nato dalla penna del cartoonist britannico Frank Dickens. In effetti, benché inventata più di mezzo secolo fa, l’immensa sede di lavoro di Bristow ha più di una somiglianza con i giganteschi open space di Amazon. Ma mentre il candido office worker britannico raggiungeva la sede di lavoro in treno, il nostro testimone – per arrivare fino al casermone di vetro vicino all’aeroporto di Elmas dove lavora assieme agli altri 400 dipendenti della sede isolana della multinazionale – utilizza l’auto. Infatti non c’è un treno, né altri mezzi pubblici.
A volte da solo, a volte assieme ai colleghi (il carpooling è raccomandato dall’azienda) da Cagliari impiega una decina di minuti, anche meno considerato che in quegli orari quasi non c’è traffico. Sistemata l’auto nel parcheggio, entra nell’ingresso sovrastatato dal disegno del porto di Cagliari, passa accanto a Efisietto (è la mascotte di Amazon sardizzata con sa berritta e il costume tradizionale), striscia il badge e raggiunge quella che, al pari della stragrande maggioranza dei suoi colleghi, considera “un’isola felice del lavoro”. Non solo per la Sardegna. Perché le precedenti esperienze in altre città, come Milano, sono state tutt’altro che felici. «Ho visto gente che stava male, molto male», dice.

L’isola felice di Bristow è una delle tante postazioni, tutte uguali, distribuite nei luminosi open space che occupano i quattro piani operativi. I colleghi sono giovani – tra i 20 e i 45 anni – e rispondono come lui al telefono, per email o via chat, in italiano o in inglese, cercando soluzioni agli “incidenti di percorso”, ossia ai problemi di consegna degli acquisti online (1,30 per cento dei casi). Sembra una piccola percentuale, ma sono quasi 150mila all’anno. Amazon, infatti, gestisce – solo in Italia – una media di 30mila consegne al giorno, un giro di quasi 11 milioni di pacchi nei dodici mesi. Si capisce, dunque, perché ci vuole un esercito di operatori.
Ma prima ancora di entrare in produzione, subito dopo aver inserito il suo nome-utente – per tutti è una specie di crasi tra il nome e il cognome – e la password, il nostro Bristow deve rispondere a una domanda che appare sullo schermo del computer. Serve a verificare il “grado di soddisfazione” dei dipendenti. Ogni giorno la domanda è diversa, a rotazione: può riguardare i capi, i turni, le mansioni. E se da un certo team, così si chiamano i gruppi di lavoro, arrivano un numero di segnali di insoddisfazione che supera la soglia critica, c’è un altro gruppo di “pronto soccorso” che tenta di capire cosa non va: «Ma difficilmente succede, io non ne ho ricordo», sottolinea Bristow. Fino a ora ha sempre scelto la risposta standard: «Va tutto bene». Se il turno è quello della mattina, si fa colazione: dolce, cappuccino o salato e frutta, anche in versione vegana o per celiaci: tutto pronto e servito; perché ad Amazon c’è il “team colazioni” che organizza anche le feste.
Quindi si comincia.

La scansione temporale è rigida (ogni ora inizia un turno di sei ore per i part time o di otto per i full time); con le pause prestabilite dalla legge 626 del 1994 che prevede per i “videoterminalisti” un quarto d’ora di riposo ogni due passate davanti allo schermo, pause che in Amazon vengono tutte rispettate, con l’aggiunta di piccoli extra secondo coscienza e secondo il flusso di lavoro. È il momento del logout: sigaretta, caffè, due passi o una partita a ping pong nell’area relax.
In un’ora l’operatore-tipo risolve i casi di 4 o 5 clienti: «La mia – Bristow ci tiene a precisarlo – è una media alta e comprende i tre canali (telefono, email e chat). Anche se ho predisposizione per la chat, vista la mia preparazione». E spiega, con una punta d’orgoglio: «Oltre ad esser veloce sono preciso: odio gli errori e le sviste, non uso la k al posto del ch, metto lo spazio dopo la virgola e uso la “è”, verbo maiuscola, con l’accento e mai mai con l’apostrofo». Premi economici per i più bravi? Nessuno, ma non importa: «Basta la soddisfazione di far al meglio il proprio lavoro». Le ore scorrono veloci soprattutto nei momenti in cui le richieste raggiungono la massima frequenza: «Do soprattutto informazioni, o seguo il viaggio del pacco. Chi mi scrive magari non sa – semplicemente – come funziona».
La missione è trovare una soluzione, e rendere felici gli utenti: «Partiamo dal presupposto che tutto si risolve. Non esiste un caso impossibile. Ricordo solo una volta la frustrazione, ma perché la persona con cui parlavo proprio non capiva e io, con i miei strumenti, non riuscivo a spiegarmi. Ma in generale per i clienti siamo degli angeli, ci ringraziano a volte in modo eccessivo». La capacità di empatire, una sorta di vocazione all’assistenza, è uno dei requisiti più apprezzati. Qual è il segreto? «Un entusiasmo non alimentato dal training, ma dalla pratica. Gentilezza porta gentilezza: gentilezza concreta – spiega convinto -. Penso che molti colleghi qua dentro diano il meglio di se stessi».
Il responsabile del team, sempre pronto a dare supporto, è una persona con esperienza, duttile e soprattutto riconosciuta. Non conta l’anzianità anagrafica: «La mia team leader, per esempio, è più giovane di me: ha 32 anni». Queste figure formano una gerarchia quasi invisibile: «Fanno l’escalation, un sollecito, o ti indirizzano: hanno risposte pronte e sicure, ma senza alcuna arroganza».
Ma la gerarchia – benché poco percepita – c’è. Ed è sia verticale, sia orizzontale con una miriade di posizioni collegate l’un l’altra. Alla base gli operatori (che hanno il contatto diretto con i clienti), poi il leader – una figura intermedia – il manager e infine l’operation manager.
Tra il trillo di una chat e un’altra possono arrivare comunicazioni via pc: c’è un’emergenza/sofferenza nell’altro settore, ti sposto per mezz’ora. La reazione più comune è la stessa: «Ci mancherebbe, è un’esigenza aziendale. Come la formazione obbligatoria, a metà mattina si può essere indirizzati verso un corso video. Oppure ancora arriva un’email che spiega come al caso X non si risponde più con la soluzione Y, ma con una diversa procedura. E si devono studiare i prodotti e le pratiche di continuo. Si possono anche leggere le ultime notizie in inglese dal portale interno Amazon, tante curiosità…».
Dopo cinque ore ecco la pausa pranzo: mezz’ora di tempo per mangiare. C’è chi prende un panino dal distributore a monete, altri – ed è anche il caso di Bristow – si autogestiscono: «Io, spesso, mi porto qualcosa da casa e la riscaldo al volo nel microonde. Si trova in una sala con tavoli, sedie, e una cucina super attrezzata: piatti in ceramica, bicchieri in vetro e posate di metallo». E per lavare? «Si infila tutto in lavastoviglie». Due chiacchiere e si torna quindi in postazione.

Un’isola felice per davvero. Ma possibile che non esista quel “sottobosco ambientale”, presente in qualche misura in tutti i luoghi di lavoro, delle simpatie e delle antipatie tra colleghi? «Non come in altri posti – è la risposta – . Certo, si chiacchiera e c’è pure il crastulo (pettegolezzo in cagliaritano, ndr), un po’ di provincialismo. Ma è più goliardia che bullismo». I colleghi sono amici? «Non per forza. Anche se alcuni li frequento. E almeno una volta al mese Amazon offre un’uscita. Che può essere una cena o un aperitivo. Ci sono poi le giornate a tema: un giorno, per esempio, si viene al lavoro in pigiama o vestiti da antichi romani. A me non piace, non partecipo, ma non sono discriminato per questo».
Per Bristow l’estensione del tempo di lavoro al tempo libero non è un fastidio né, tanto meno, l’avverte come un sistema di controllo: «È il metodo che adottano, riuscendoci, per tenere coeso un gruppo». Si seguono regole e tempi rigidi: «Ma senza alienazione». Lo appagano certe piccole concessioni: poter ascoltare la musica con le cuffie, dare uno sguardo allo smartphone, rispondere a una comunicazione personale flash senza rischiare rimbrotti. «Questione di buon senso e rispetto. E c’è questo stimolo continuo a migliorarsi, questo continuo gareggiare con i numeri». Le statistiche delle performance individuali sono visibili a tutti, anche quando si sbaglia. «L’errore non è percepito come un fallimento, è uno stimolo a fare meglio. Non ci sono maestrini».
Ci sono anche i divieti assoluti: niente selfie, niente badge in giro, e guai ad attaccare il caricatore del cellulare al pc: questione di sicurezza dei dati. «Se vedo un collega che sbaglia, – Bristow su questo è inflessibile – glielo faccio notare». E se continua? «Lo riferisco al mio team leader, ma non sono una spia. Qui le spie non esistono, si fa solo il bene dell’azienda».
Sono ormai trascorse le otto ore, ed è finita la giornata di lavoro del nostro impiegato felice. è stanco ma soddisfatto. Un ultimo sguardo alla bacheca aziendale, sempre aggiornata. «Volantini dei sindacati? Mai visti e mai sentito qualcuno citare una sigla. Perché? Forse semplicemente perché non ce n’è bisogno». Sono affissi invece gli appuntamenti extra (tra i quali l’estrazione di un viaggio premio al magazzino-madre di Piacenza) e le indicazioni per ottenere i gadget, felpe e magliette, con il logo dell’azienda.
Chi si accontenta gode.

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