La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

Madame Dupont e le sue tre vite

Sono almeno tre le vite vissute da Catherine Dupont. La prima, di cui poco sappiamo, è forse la più esaltante, promette per lo meno di esserlo quando, a Parigi, Catherine sposa un giovane ufficiale che poi diventerà generale, il general Dupont appunto. Poi il generale muore. Catherine è vedova, vedova di un generale ma pur sempre vedova, una condizione che se non vuol dire indigenza la spinge però a prendersi a casa un pensionante. In un certo senso l’ha già in casa, il pensionante: è un protegé del marito, un italiano che risponde al nome di Giovanni Maria Angioy.

Italiano, quindi, come sono italiani a Parigi tutti quelli che parlano italiano, anche se poi il rispettivo passaporto li fa sudditi di stati diversi, dai confini e dalla vita incerta per altro, visto che sull’Europa intera è passato proprio in questi anni il turbine Napoleone. Quando Angioy è arrivato a Parigi, nei primi mesi del 1798, le carte lo dicono suddito del Regno di Sardegna. I parigini non lo sanno, ma Angioy ha guidato nella sua Sardegna una rivoluzione che mimava la Grande Rivoluzione. Poi la rivoluzione è fallita e, nel giugno del 1796, Angioy è scappato dall’Isola.
In una Parigi nervosa e vociante, percorsa da generali ambiziosi, speculatori voraci, abili doppiogiochisti – la Parigi del Direttorio, insomma – l’appello degli esuli sardi perché ci si occupi della loro Isola suona come un indistinto pigolio, confondibile con mille altra cause e progetti.

È assolutamente indispensabile un patron per pensare di avere un’attenzione sia pure fuggevole da parte del governo francese. Il generale Dupont è uno di quelli che, avendo le mani in pasta nelle faccende del governo, sta ad ascoltare Angioy. è dunque con la morte del generale Dupont che inizia la seconda vita di Catherine, ereditando dal marito, tra l’altro, la cura del rivoluzionario sardo. Un personaggio ingombrante, Angioy, come potrebbe essere un rivoluzionario sconfitto schiumante progetti di rivincita? Non si direbbe, almeno a sentire gli esuli sardi che gli stanno vicino. Angioy, scrive uno di loro nel 1804, “vegeta al solito tra privazioni e isolamento”.

È una storia che le poche carte rimaste non ci raccontano quella tra Catherine Dupont e Giovanni Maria Angioy. Vorremmo sapere, tra l’altro, in quale misura l’esule sardo sappia (o voglia) coinvolgere questa compagna degli ultimi anni della sua vita in un passato che, come lui stesso sa bene, non può tornare. Ad illuminare la storia, che è forse anche una storia d’amore, l’atto finale, il testamento che Giovanni Maria Angioy detta pochi giorni prima di morire. A Catherine Dupont riconosce un debito di 3.500 franchi per averlo tenuto a pensione per nove anni e avergli fatto dei prestiti. Ma madame Dupont non è stata solo una pensionante: “per riconoscenza delle buone cure e dell’attaccamento veramente filiale e l’affetto così particolare”, le lascia così altri 2.000 franchi.

A questo punto inizia la terza vita di Catherine Dupont, la più difficile. I 5.500 franchi sono solo sulla carta. Per ricuperarli dovrà recarsi in Sardegna e venire in possesso di parte almeno delle terre ancora a nome di Angioy. Catherine attende qualche anno prima di intraprendere il viaggio ma poi si decide. A Sassari viene bene accolta. Si rifiutano invece di incontrarla, a Cagliari, le tre figlie di Angioy, titolari dei beni posseduti dal padre. La missione insomma fallisce. Rimane a Catherine, di questo frustante viaggio, l’affettuosa ospitalità a Sassari di Louis Esperson, antico amico di Angioy e vice-console francese in Sardegna sotto la prima Repubblica: sarebbe stato il figlio di costui, Ignazio Esperson, circa sessant’anni dopo, uno dei primi a consegnare alla tradizione democratica il racconto partecipe della Rivoluzione sarda.

Luciano Marrocu