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Il rischio di fare poesia, a Cagliari

La poesia è viva, la poesia gode di ottima salute. È questo il chiaro e forte messaggio levatosi dal viale dei Giardini Pubblici di Cagliari che, sabato 4 giugno, dalle 21.05, è stato teatro de Il rischio di fare poesia, un reading assai particolare ed inconsueto organizzato nell’ambito del festival internazionale di letteratura Leggendo Metropolitano.
“La poesia è virtù: quella che attiene alla capacità di immaginare, progettare, realizzare un senso, laddove la fortuna tende a disperderlo. La poesia dunque, oggi – nell’epoca in cui chiunque prende la parola per parlare a chiunque e quindi nell’epoca in cui nessuno parla a nessuno – è rischio” recita il concept dell’appuntamento.

Sul palco i poeti Lello Voce, Antonella Bukovaz, Sergio Garau, Gabriele Stera, si alternano, si cimentano, si immergono, si danno e quasi si dannano, con il chiaro intento di coinvolgere l’incuriosito, attento e variegato – soprattutto in termini di età – pubblico; mettono sul piatto la propria essenza e condividono il turbinio delle emozioni dalle quali sono evidentemente invasi e pervasi. Voce, Bukovaz, Garau e Stera sono fra i più illustri interpreti della cosiddetta ‘poesia performativa’, che è l’avanguardia della poesia contemporanea.

Nel saggio ‘Per una poesia ben temperata’, Lello Voce afferma che “La poesia nasce prima dei poeti, assieme alla comunità” e sottolinea che “Se la poesia è nel mondo essa non può esserci che a partire dalla sua voce e dalla capacità che la sua voce ha di catturare l’ascolto della comunità, di fondare un dialogo”. Sono state le corde vocali dei poeti, attraverso l’interpretazione, il racconto, la canzone, a rendere evidenti e rafforzare le trame di questo dialogo. Lo hanno fatto per oltre 30 secoli. Ad un certo punto, però, la stretta e proficua relazione è venuta meno: “L’introduzione della scrittura in una società corrisponde ad una trasformazione profonda, di ordine mentale, economico ed istituzionale”, si legge ancora nel saggio. Il cambiamento di medium, dalla voce alla carta, ha significato il compimento di una scelta importante, epocale, ma “il suo scegliere di diventare muta, il suo farsene sin un vanto per qualche secolo, è stato per la poesia una sorta di suicidio”. Il testo scritto, infatti, non è mai riuscito a diventare di tutti e per tutti, è sempre stato poco sociale, elitario, e così facendo ha sancito la rovinosa uscita della poesia “dalla partita fondamentale dell’influenza sull’immaginario collettivo”, chiosa ancora severamente il poeta Voce.

Il divario fra società e poesia si è acuito ulteriormente con la nascita di quella che il critico letterario Walter Siti, in un articolo pubblicato su La Repubblica del 22 giugno, definisce “oscurità”: “Fino alla fine del Settecento la poesia era una lingua speciale per trattare argomenti sublimi in belle favole; serviva per nobilitare l’umano, conservando il memorabile della storia e la musica del sentimento. Per capirla bastavano la competenza della tradizione, la scuola, il privilegio. Poi venne Hölderlin con la sua pazzia; la poesia diventava il frantume di quel che gli Dei, andandosene avevano lasciato sulla Terra. Via la tradizione, la scuola: il poeta doveva cercare il nuovo sul fondo dell’ignoto – si faceva veggente, profeta, sciamano che portava alla luce l’inconscio personale o collettivo>> – l’“oscurità”, appunto – “La comunità non lo capiva più…”. 

La ‘poesia performativa’ nasce da questa storia, da queste esperienze, da simili considerazioni e ragionamenti, e dalla conseguente necessità di operare una sorta di ritorno al passato, un salto all’indietro che non puzza di nostalgia ma profuma di voglia di futuro perché indirizzato alla ricerca di un nuovo equilibrio fra poesia, poeta e società. Sono i primi anni ‘80 dello scorso secolo quando l’operaio/poeta Mark Smith, spinto dalla profonda convinzione che “la poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità”, decide di organizzare i primi appuntamenti di ‘letture ad alta voce’. I palcoscenici sono i locali della città di Chicago. Prende vita in questo modo una nuova forma d’arte chiamata ‘poetry slam’, o semplicemente “slam”, che poi si diffonde a macchia d’olio negli Stati Uniti d’America e successivamente in Europa. In Germania, Francia, Inghilterra è già da tempo una grande realtà che coinvolge migliaia di poeti, non necessariamente professionisti, decisi a presentarsi davanti ad un pubblico – attivo, partecipe e solitamente giudicante – per misurare la forza della loro scrittura, della loro capacità oratoria e performativa, nell’ambito di apposite serate organizzate in spazi di dimensioni e capienza variabili (dal piccolo bar all’arena da concerto, per gli appuntamenti più importanti). Lo slam, o ‘poesia performativa’, quindi, si fonda sullo stretto legame fra scrittura e performance, e trova compimento nelle azioni del poeta e del suo pubblico, piuttosto che nelle sbiadite pagine di un libro o sul sicuro fronte di un piatto e sobrio, ma afono, palcoscenico.

Cagliari, 4 giugno, ore 22.40. Il reading è terminato. Lello Voce, Antonella Bukovaz, Sergio Garau, Gabriele Stera, si trattengono sul palco, si inchinano, salutano, ringraziano. Nell’aria si mischiano ancora i loro respiri, i loro sospiri, i loro coraggiosi e non sempre aggraziati canti; si percepiscono ancora gli echi di un linguaggio farcito di richiami, di sottili allusioni, di continue invocazioni ed evocazioni, di alti e bassi, di provocazioni e rassicurazioni, di collegamenti e porte che, se adeguatamente aperte, permettono di vivere la più incredibile delle esperienze: un affaccio diretto sulla nostra anima. La poesia è viva, viva la poesia.

Dino Serra

 

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