La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

La lettera ritrovata di Lord Thomas

Chi ebbe la fortuna di conoscerlo – lord Thomas Alnutt Brassey, visconte di Hythe, proprietario, dal 1890 in avanti, di importanti complessi minerari nel sud-ovest della Sardegna (da Masua ad Ingurtosu e da San Giovanni a Gennamari) – lo descrisse come un trentenne, alto e distinto, molto affabile e alla mano, di una seriosità molto british: amava la buona tavola e il vino generoso e soprattutto era, come s’ama dire, un vero tombeur de femmes, un accanito seduttore, portato quasi più alla conquista di bellezze femminili che di ricchezze in galene e blende. Morì a soli 56 anni, nel 1919, investito da un taxi nella City londinese, quand’era nel pieno dei suoi successi industriali in terra sarda.Di lui si sa anche che padroneggiava assai bene l’italiano (oltre il francese e il tedesco), e aveva fatto proprie certe espressioni del sardo, tanto che di fronte alle difficoltà di mettere d’accordo i suoi dipendenti locali, amava ripetere Centu concas centu berrittas, (cento teste e cento cappelli). Era effettivamente un grande innamorato della Sardegna. Infaticabile ricercatore delle cause dei tanti ritardi e delle sfasature nella società e nell’economia, trascorreva molto del suo tempo a girare per l’Isola con lo scopo di conoscerla a fondo. S’era portato da Genova un’autovettura (doveva trattarsi di una Chiribiri o una SPA Ceirano) e con essa percorreva la Sardegna in lungo e in largo destando ovunque spavento, curiosità e ammirazione per quella avveniristica e rumorosa carrotza chentz ‘e cuaddus, senza cavalli. Di questi tour ho trovato una traccia in una lettera finita curiosamente fra le pagine di un’edizione assai rara (Sardinia and its resources di Robert Tennant, del 1883), acquistata a caro prezzo da un antiquario a Manchester, anni fa. La lettera firmata Th., è datata “Ingurtosu (Sardinia), 17 gennaio 1902”. Indirizzata forse alla sorella Anne (“My dear Anne…”), racconta molte delle impressioni ricavate in quelle gite, i paesi visitati e le amicizie fatte e, soprattutto, la piacevole compagnia di Cicita, una giovane cagliaritana assai avvenente, che gli faceva da gentile guida in queste escursioni. Dell’Isola l’aveva incantato la bellezza dei luoghi, la musicalità di certi toponimi (come Mandrolisai, Campanasissa, Tadasuni, per esempio) e l’asprezza selvaggia di certi paesaggi rupestri, come quelli dell’Ogliastra e della Barbagia. Accennava anche agli uomini e alle donne conosciuti in quei suoi tour, ne aveva apprezzato la cordialità e ammirava la dignità e la fierezza con le quali molti di quanti incontrava affrontavano le loro esistenze difficili, segnate da difficoltà, infermità e triboli d’ogni genere. Quel mondo lo intristiva e allo stesso lo affascinava: “Questa Sardegna – scriveva – pare una terra fuori del tempo, molto differente dalle terre “continentali”». Non è più Europa, precisava, anche se non è ancora Africa. D’altra parte non aveva dimenticato i suoi anni passati in Transvaal, da ufficiale dell’Union Jack, e Tuili e Cabras gli ricordavano certi villaggi sudafricani. Con gli abitanti costretti in poverty, illiteracy and backwardness, in povertà, analfabetismo e arretratezza. Ma anche nella villa d’Orri dei Villahermosa, come nella Melrose House a Pretoria, aveva trascorso delle serate very charming, come negli eleganti salotti di Mayfair! Le sue impressioni erano tutte a conforto di questa tesi, d’essere l’Isola una terra di contraddizioni, dove nei paesaggi si incontrano tutti i colori dell’arcobaleno, nelle sue comunità molte povertà “coloniali” frammiste a poche oasi di benessere signorile, così come nell’economia parevano convivere l’alfa e l’omega del progresso, dall’aratro a chiodo alle macchine a vapore. Qui – annotava – puoi trovare tutto e il contrario di tutto, la semplicità dei popoli barbari e le complessità di quelli advanced, più evoluti. Ecco, la Sardegna per lord Brassey era un vero puzzle, una cripticità, molto difficile da risolvere (e da descrivere)!  

Paolo Fadda 

Scritto da