All’inizio ci sono cinque ragazzi che in una sera d’estate fantasticano sul futuro seduti sulla scalinata della chiesa di Sant’Anna di Cagliari. Ragionano, fanno progetti. Parlano della loro città e dei tanti luoghi – palazzi, siti archeologici, torri, giardini – i cui nomi sono familiari a tutti, ma che pochi hanno avuto modo di conoscere e di visitare. Eppure non dovrebbe essere così complicato aprirli, renderli accessibili. Sarebbe un modo semplice e piacevole di riappropriarsi della storia del posto dove si è nati. Quei cinque studenti universitari (si chiamano Armando Serri, Vito Biolchini, Massimiliano Messina, Massimiliano Rais e Giuseppe Crobu) decidono di buttarsi a capofitto nell’idea. Sono tutti volontari e fanno parte di un’associazione, la “Ipogeo”, che era già riuscita a far aprire per la prima volta alle visite un importante sito cittadino, la cripta di Santa Restituta. Si tratta, però, di diffondere e di rendere sistematica questa pratica, superando i molti ostacoli burocratici. Ci riescono. Il 10 e 11 maggio 1997 a migliaia si riversano a vedere la torre di San Pancrazio, che era chiusa da decenni, la necropoli punica di Tuvixeddu e il Palazzo viceregio dei Savoia. Il successo è straordinario. L’anno dopo l‘esperimento viene ripetuto, con l’aggiunta di un altro sito, la Torre dell’Elefante.
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