La Sardegna di oggi per la Memoria di domani

Ci ha lasciato i suoi scritti in italiano, quasi un secolo fa, ma ha avuto la straordinaria capacità di parlare a tutto il mondo per i decenni a venire. Antonio Gramsci, pensatore e politico sardo a ottant’anni dalla morte è sempre più tradotto, riletto e discusso. Non c’è continente dove non venga studiato. I numeri parlano chiaro: sono 21mila i libri di Gramsci o su Gramsci pubblicati fino a oggi in 41 lingue diverse tra le quali armeno, malayam, galiziano, farsi, serbo, bengalese, sloveno. La bibliografia su di lui è la più vasta mai dedicata a un autore italiano.
Il primo convegno internazionale – Gramsci e la cultura contemporanea – si svolse a Cagliari nel 1967, in occasione del trentennale della morte, organizzato dall’Università insieme a Comune e Regione. C’era il gotha degli intellettuali italiani con Norberto Bobbio, Natalino Sapegno, Giuseppe Galasso, Alberto Mario Cirese e il sardo Giovanni Lilliu. E poi studiosi dal Regno Unito, Russia, Germania. I suoi scritti però erano già letti in Europa da almeno vent’anni: in Asia arrivò nel 1957 con una biografia tradotta in cinese; nel lontano Perù era noto dal 1921 grazie a José Carlos Mariàtegui, giornalista e politico che l’aveva incontrato a Livorno in occasione della nascita del Partito Comunista italiano. Ma la diffusione planetaria avvenne negli anni Settanta, complici anche i profondi sconvolgimenti politici ed economici dell’epoca e la pubblicazione nel 1975, da parte della casa editrice Einaudi e dell’Istituto Gramsci, dell’edizione critica completa dei Quaderni del Carcere a cura di Valentino Gerratana.

Nella foto, l’opera di Marco Tavoletta, vincitore del primo premio nella seconda edizione del premio “Gramsci visto da dietro le sbarre”, bandito nel 2016 dall’associazione culturale di Ales Casa natale di Antonio Gramsci

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