La Sardegna di oggi per la Memoria di domani
 

La “belle fable” smeraldina

È una storia, ma forse non è altro che una bella favola, sulla nascita della Costa Smeralda. La si apprese diversi anni fa dalla viva voce dell’avvocato André Arduin, amico e braccio destro del giovane principe Karim, l’Aga Khan degli ismailiti: si navigava sull’elegante yacht Bettina in quell’estate del 1960 per il mar Tirreno. Passate le Bocche di Bonifacio e lasciato alla nostra destra l’arcipelago maddalenino – racconta Arduin – Karim fu attratto da qualcosa d’insolito: alla sua vista era apparsa una costa quanto mai bella, lambita da un mare così limpido da ricordare uno smeraldo. Accostammo a riva. C’era un vecchio che governava, con l’aiuto d’un cane, alcune vacche: fui io – aggiunse Arduin – che m’arrangiavo con l’italiano a chiedergli qualcosa del luogo, e così apprendemmo che era noto come “Monti di Mola”, e che lui ne possedeva qualche decina d’ettari. Gli chiesi se, eventualmente, fosse disposto a vendere e rispose affermativamente, ma che voleva “almeno un milione”. Fu quello, concluse, il primo acquisto di quell’operazione turistico-immobiliare che nel 1963 insieme a Karim battezzammo poi “Costa Smeralda”.

S’è raccontata questa storia, o favola che sia, perché essa segnerà un vero e proprio turning-point per il turismo sardo. Perché da allora andrebbe visto e raccontato con una cesura temporale: a.CS e d.CS, avanti e dopo Costa Smeralda. Se fino al 1960 l’ospitalità alberghiera sarda poteva contare su poche migliaia di posti letto, quindici anni dopo il loro numero s’era moltiplicato per venti (ed oggi sono all’incirca 110 mila).
Il turismo è infatti il fatto più nuovo, e più travolgente, che l’Isola abbia trovato nella sua strada nell’ultimo mezzo secolo.

È quindi un fatto recente, accaduto ottant’anni circa dopo la Corsica e la Sicilia, le altre due grandi isole mediterranee. Ma caratterizzato da un trend di crescita travolgente, che ne ha coperto l’handicap iniziale, tanto da farle raggiungere il primato. Basti pensare che le sole presenze alberghiere si sono moltiplicate per dodici (oggi sono quasi 12 milioni, di cui quasi la metà stranieri, ed altrettante ne registrano le case vacanze sparse nei 1340 chilometri di coste).

Il turismo ha profondamente modificato la geografia antropica della Sardegna, tant’è che i comuni costieri sono gli unici a non dover soffrire dello spopolamento che va desertificando l’interno dell’isola (Olbia s’è triplicata e Villasimius quadruplicata). Che tutto questo sia avvenuto senza determinare stravolgimenti ambientali non è condivisibile: è indubbio che ci fu molta improvvisazione. Ma di certo le attività turistiche sono divenute uno dei capisaldi dell’economia regionale, con il loro 7 o 8 per cento di Pil sul totale (il doppio circa di quello derivante dall’agricoltura, un tempo regina dell’economia isolana).

L’iniziativa del principe Karim ha rappresentato una sorta di magnete che ha messo in moto un movimento che ha modificato profondamente l’economia dell’Isola. Soprattutto per le capacità modernizzanti che il turismo, per comune giudizio, trasferiscono nei luoghi dove si inserisce. Ed è caratterizzato, come tutte le attività produttive, da un profondo dinamismo, dato che il mercato dei suoi utilizzatori è in continuo mutamento. Innanzitutto per i grandi progressi avvenuti nei trasporti, sempre più orientati verso il low-cost, e, conseguentemente, per il mutato status economico.

Se in quei primi anni l’appeal offerto dalla Sardegna turistica poteva racchiudersi nel fascino di due “esse” (sea and sun), già dopo poco tempo era stato necessario aggiungerne almeno altre due (sport and show) e, per quel che sostengono gli esperti, oggi ne occorrono almeno sei, per dare completezza alla vacanza e successo all’offerta. Ed è su quest’evoluzione che la Sardegna d’oggi sta costruendo la continuità dei suoi primati nel turismo, ed è questo, in concreto, il problema più attuale.

Paolo Fadda

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