La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso». Fabrizio De André, restò folgorato dal verde della Gallura all’inizio degli anni Settanta. Un amore a prima vista per una terra che poteva essere dolcissima e amara, morbida e aspra, come la sua musica: «Una terra – scrisse ancora – in cui gli opposti convivevano meravigliosamente, in cui l’autentico non aveva bisogno di aggettivi». Decise di lasciare Genova, e piantare sull’Isola le sue radici. Acquistò una tenuta di 150 ettari tra Tempio e Oschiri. Si chiamava l’Agnata, un nome che in gallurerese evoca l’idea del cantuccio, dell’angolo nascosto. C’erano il bosco, il pascolo, un vecchio casale di pastori. Lo ristrutturò e, con Dori Ghezzi, la sua compagna, ne fece la residenza “ufficiale” della famiglia. Era il 1979. L’inizio di un amore per la Sardegna che avrebbe davvero resistito a tutto. Si è molto parlato e scritto di quell’amore. Ma i suoi segreti sono stati svelati da pochi mesi. Si è saputo, per esempio, che l’amore di De André per la natura e per la vita in campagna non derivava – come era facile pensare – dal desiderio di allontanarsi dal caos di Genova, da quei caruggi pullulanti di vita che pure aveva saputo cantare come nessun altro. Sì, c’era anche questo. Ma quel colpo di fulmine si fondava su una ragione più profonda e più remota. La vita all’aria aperta e il contatto stretto con la natura avevano segnato la sua vita fin dalla prima infanzia: nel 1945, infatti, il piccolo Fabrizio, che a casa tutti chiamavano Bicio, assieme alla famiglia fuggì dai bombardamenti sfollando a Revignano D’Asti, in Piemonte, dove i De André possedevano una cascina. Il respiro dei prati, degli animali, l’atmosfera di quella grande famiglia provvisoria allargata, che comprendeva anche le famiglie dei contadini, restarono indelebilmente impressi nella sua memoria.
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