La rivista che avete tra le mani è figlia di Internet, precisamente di un quotidiano on line, Sardinia Post, nato nell’ottobre del 2012. Di solito, quando un organo di informazione utilizza più “piattaforme comunicative”, il percorso è stato inverso: dalla carta al Web e non dal Web alla carta. Partiamo da questa premessa non per dire che siamo “originali”, ma per adempiere a uno dei fondamentali obblighi che un giornale ha verso i suoi lettori: rendere esplicito il proprio punto di vista. Passare dal Web alla carta significa infatti modificare uno degli elementi essenziali che lo determinano: il tempo che si dedica all’osservazione dei fatti.
All’inizio degli anni Novanta, quando si delineò in modo chiaro la forza dirompente di Internet, si cominciò a discutere della possibile morte del giornalismo: non ce ne sarebbe stato più bisogno perché, molto presto, ogni cittadino avrebbe avuto la possibilità di acquisire, gratuitamente o comunque a poco prezzo, informazioni da ogni parte del mondo. Previsione esatta. Oggi chiunque conosca anche in modo rudimentale le regole di un motore di ricerca è in grado di acquisire autonomamente notizie freschissime dai luoghi più lontani del Pianeta. Eppure il giornalismo non è morto. I profeti della sua fine non avevano preso in considerazione una questione decisiva, appunto il tempo.
Come ben sanno quanti si occupano di informazione, anche al di fuori dell’ambito giornalistico, ci sono due modi per nascondere la verità di un fatto: occultare gli elementi essenziali che lo compongono (è la tecnica più conosciuta e antica) o, all’opposto, metterne a disposizione di chi indaga una quantità così esorbitante da renderne impossibile la cernita. La rivoluzione di Internet ha prodotto un effetto analogo. Proprio mentre i ritmi di vita diventavano più frenetici e il tempo libero diminuiva (o quando aumentava diminuivano i soldi), il flusso delle notizie è diventato uno tsunami planetario.
Questo rapporto inversamente proporzionale tra quantità di notizie e quantità di tempo è la salvezza dei giornalisti. Ha infatti reso ancor più indispensabile il lavoro di chi dà una gerarchia alle notizie, ne verifica l’attendibilità, almeno quanto alle fonti, per fornire un quadro sempre aggiornato del presente a tutti gli altri cittadini che svolgono altri lavori. È sempre stato un aspetto importante dell’attività giornalistica, ma Internet l’ha reso prevalente. Prima i giornalisti erano soprattutto “raccoglitori” di notizie, oggi sono soprattutto “selezionatori”. Tutto a posto, dunque? È solo cambiata la modalità di una professione? Non proprio. Perché questo cambiamento ha coinciso con una crisi economica gravissima che ha prodotto conseguenze devastanti. Il “comparto informazione” ha dovuto affrontare in tutto l’Occidente una delle combinazioni più micidiali che possa capitare a qualunque comparto economico: una rivoluzione industriale in una fase di recessione.
Le notizie da valutare sono aumentate e gli organici delle redazioni si sono ridotti proprio mentre i meccanismi del web moltiplicavano il valore economico della velocità nella pubblicazione delle notizie: “arrivare primi” produce un maggior numero di contatti e quindi di entrate pubblicitarie. Il “giornalismo della velocità” ha enormi meriti, ha davvero esteso a tutti i cittadini del mondo la possibilità di essere sempre aggiornati su quel che accade. Ha cioè globalizzato la funzione del giornalista come “sentinella della democrazia”. Ma chi è costretto a correre più veloce che può, non sempre vede bene, comunque non vede tutto e, a volte, vede male. Anche quando fa del suo meglio. La valutazione delle notizie è diventata strutturalmente imperfetta. Il Web, e questa è la sua forza, consente di essere velocissimi anche nella correzione degli errori, ma il tempo, il maledetto tempo, a disposizione dei lettori è sempre lo stesso. Ogni tanto bisogna fermarsi. Fare un punto, riprendere il filo. La consapevolezza di questa necessità è la ragione principale per cui questo magazine è nato.
Non è un’attività alternativa a quella ordinaria. “Fermarsi” non significa pretendere di arrestare il flusso delle notizie, che va avanti (e anche noi andiamo avanti col nostro quotidiano Web). Significa semplicemente, ogni tanto, rimettere in ordine i fatti che si sono prodotti in un certo arco del tempo precedente. Questo è tanto più necessario quanto più i fatti sono complessi. Come i fatti della Sardegna. Una regione che è arrivata alla “connessione col mondo” quasi senza passaggi intermedi: fino a cinquant’anni fa la possibilità di andare e tornare da Cagliari a Roma o da Sassari a Genova con la stessa facilità di chi si spostava da una all’altra città del Continente era prerogativa di una ristrettissima élite.
E – come raccontiamo nel servizio a cui abbiamo dedicato la copertina di questo numero – era un evento eccezionale persino (in Sardegna!) raggiungere una spiaggia per fare un tuffo. Tanto che ci è venuta una curiosità e abbiamo tentato di individuare il primo Sardo che si è immerso nel mare per il solo piacere di farlo.
Ci sono tanti modi per “riprendere il filo”. Quanto al problema dei Sardi e del mare, abbiamo pensato che fosse opportuno partire da molto lontano. Nella sua inchiesta, Monia Melis parte dalle navicelle nuragiche, passa accanto alle terme romane di Nora (dove scopre alcuni indizi molto interessanti), attraversa il millennio delle incursioni dei pirati, arriva alla nascita della Costa Smeralda. È una lettura utile per i Sardi che buona parte di quelle vicende le conoscono, ma magari non hanno mai pensato (o avuto il tempo per pensare) che potessero essere combinate tra loro in questo modo. Utile per i “continentali” che arrivano in Sardegna e, chissà, da questa lettura capiranno perché, in un’Isola che con le sue isole minori ha uno sviluppo costiero di 1700 chilometri, sono così pochi i paesi che s’affacciano sul mare.
Questa non è una “rivista sarda”, ma una rivista “sulla Sardegna” prodotta in Sardegna. Non è una rivista “per i Sardi”, ma per quanti hanno qualche interesse per la Sardegna. Dunque per una larga parte dei Sardi, ma non necessariamente per tutti, dunque anche per i “Continentali”, ma non necessariamente per pochi. Abbiamo fatto del nostro meglio, forse con una motivazione in più che deriva dal nostro percorso: l’essere arrivati alla carta mentre correvamo nella selva del Web dove una notizia brucia l’altra in poche ore. Dove non si butta mai niente, perché tutto resta nella memoria, ma dove tutto si perde, perché la memoria del Web è immensamente più capiente di quella umana. Vogliamo essere un oggetto, un “almanacco permanente”, che non si butta. Che si conserva. “Sentinelle” non solo della democrazia, ma anche della memoria. Come le “Sentinelle dello spazio” di Pinuccio Sciola, di cui parliamo in un altro dei servizi di questo numero.
Poi, ovviamente, sarete voi, i Lettori, a valutare se saremo capaci di mantenere tutte queste promesse.
Giovanni Maria Bellu