La Sardegna di oggi per la Memoria di domani

Professor Clemente, a quanto pare i sardi, ma non solo i sardi, condividono i luoghi comuni più diffusi attorno al loro carattere regionale. Si considerano prima di tutto “ospitali”, poi “testardi”. Ma prima di entrare nel merito dei risultati del sondaggio, vorremmo che lei ci aiutasse a comprendere la fondatezza del suo presupposto. La domanda è: esistono davvero dei “tratti caratteriali” in una popolazione?

“Tratti caratteriali” viene dalla psicologia. Quasi ricorda le diagnosi astrologiche. Più vicino al mondo degli studi storici, antropologici e geografici è il termine “caratteri originali”, perché comprende anche le forme dell’habitat, il lavoro, le usanze sociali. Di certo, al di là di come vogliamo definirli, esistono dei tratti comuni in una popolazione, il che ovviamente non esclude che al suo interno poi esistano altre differenze tra gruppi sociali, generazioni, aree. L’antropologia le ha studiate per lo più in rapporto alle condizioni di produzione e di lavoro (gli “stili etnici”) o in rapporto alle autorappresentazioni collettive che hanno generato la tematica anche politica delle identità. Un antropologo francese ha sostenuto che anche i ‘’blasoni popolari” hanno un fondamento nelle pratiche di relazione e di confronto tra comunità vicine. Stiamo parlando, per capirci, dei soprannomi che si danno reciprocamente gli abitanti di due paesi, delle storielle che a Livorno o a Firenze si raccontano su quelli di Pisa o a Bitti su quelli di Lodè o di Orune, e viceversa. Ma non dobbiamo, ed è questo il punto, considerarli qualità proprie di un gruppo o di una regione: sono aspetti comparativi legati a pratiche di relazione. Definiscono cioè il rapporto tra i gruppi e non l’essenza di un gruppo. Insomma, dobbiamo aver ben chiaro che stiamo parlando di insiemi di pratiche locali e di stili di vita…

Foto Giovanni Santi

L’intervista completa sul numero in edicola.